Proloco di Villaputzu


La Proloco di Villaputzu è un'associazione turistica che, grazie alla collaborazione dei suoi numerosi consociati, promuove nell'arco di ogni anno, numerose attività volte alla promozione del turismo e in particolare:

  • Iniziative volte a preservare e a diffondere le tradizioni culturali e folkloristiche;
  • Iniziative volte a favorire la conoscenza e la valorizzazione delle risorse turistiche locali;
  • Promozione, attuazione e coordinamento manifestazioni e iniziative di interesse turistico;
  • Assistenza ai turisti;
  • Promozione, realizzazione e miglioramento impianti ricettivi turistici e pubblici esercizi;
  • Compilazione e aggiornamento del registro delle abitazioni da affittare a scopo di villeggiatura;
  • Costituzione e funzionamento di un ufficio informazioni
     

 Dove rivolgersi:
Via Nazionale 166
Villaputzu
Tel. 3476121761
e-mail:  prolocovillaputzu@hotmail.com
Presidente Franco Anedda

COSTUMI SARDI
Ciò che colpisce la moltitudine della gente nelle feste è la presenza degli originali costumi paesani, che i sardi indossano anche oggi nelle ricorrenze. Purtroppo, col volger del tempo, si deformano o scompaiono addirittura molti caratteri più interessanti della gente e della terra sarda; la vita e le abitudini si uniformano a quelle del continente ed anche le ricche e svariatissime fogge del vestire perdono, quasi ogni anno, qualche cosa di peculiare, e se acquistano in semplicità, non guadagnano certo in armonia e in bellezza. La moda, che tutto trasforma e rinnova, si sbizzarrisce coi capricci anche in Sardegna, ma tuttavia qui, meno che altrove, sicché possiamo ancora ammirare i variopinti costumi, quantunque essi non corrispondano in tutto a quelli di una volta. Da vari anni, in quasi tutti i paesi della Sardegna, e anche nelle città, sono sorti gruppi folkloristici, che si pongono come fine il recupero e la conservazione del patrimonio tradizionale : costumi e ballo soprattutto.

COSTUME MASCHILE DI VILLAPUTZU
Ecco le parti fondamentali del costume sardo di Villaputzu.
Nell’abito maschile, la parte più variopinta e più adorna è costituita dal giubbetto senza maniche, di damasco o di orbace nero, con abbottonatura centrale, costituita da parecchi piccoli bottoni in filigrana d’argento con laccioli e dalle lunghe asole corrispondenti. Sotto questo gilet è visibile la bella camicia bianca con colletto in pizzo chiuso da due tradizionali bottoni in filigrana, maniche piuttosto ampie, con polsini alti. Sono d’uso per l’uomo is bragas, cioè un gonnellino corto in orbace nero, stretto alla vita, corto e arricciato attorno alle anche, e alle falde con un nastro di velluto rosso. Sotto le braghe spuntano i calzoni in tela bianca, chiusi nei gambali alti d’orbace nero che fasciano i polpacci. Le scarpe (is crappittas o iscarpones) non hanno ormai più nulla di speciale, ma un tempo destavano la meraviglia dei continentali per la loro lunghezza e per la punta smisurata; oggi sono scarpe comuni, resistenti e pratiche. Per difendersi dai rigori della stagione, era d’uso mettere la giacca fatta di orbace, che attualmente i nostri ragazzi del gruppo non indossano. Il copricapo classico dei sardi è costituito sa sa berritta, che si porta con la punta ripiegata in tanti modi, secondo il capriccio di ognuno.

COSTUME FEMMINILE DI VILLAPUTZU
Assai più vario e instabile del costume maschile è quello femminile. Il busto o su cossu, è damascato di vari colori e orlato di bordo arancione, senza maniche con scollatura ampia che lascia scoperto il petto, chiuso alla vita da piccoli bottoni. Su cossu copre la bellissima camicia (o camisa) bianca ricamata in maniera degna di nota, con ampia scollatura rotonda, chiusa come d’uso con due bottoni in filigrana. Le maniche della camicia sono ampie e munite di polsini abbelliti da un ricamo sul bordo superiore. Sopra al busto le donne portano su gipponi in raso, quindi un giubboncello sotto cui si allarga la gonna o sa gunnedda dello stesso tessuto de su gipponi, quindi come si può vedere è in raso; in questa gonna si notano le piegature che senz’altro per farle richiedono mani esperte. Sopra la gonna si distende il grembiule (su pannu de innantis) che qualche volta è più corto, ma spesso arriva con la gonna fin sotto la caviglia, sicché si vedono appena le calze (is migias) e le scarpe (is crapittas). Le donne sarde pongono ogni cura speciale nel coprirsi il capo, e anche le nostre donne lo fanno con un fazzoletto di pizzo bianco (su velu), disposto sopra un fazzoletto rosso destinato a raccogliere i capelli. Tutti questi indumenti appena descritti danno a tutto il costume un aspetto probabilmente rigido e serio a prima vista, ma ciò che è fondamentale in questo abito è più che altro la donna vestita da sposa, cioè con l’abito che comunemente un tempo portavano le spose all’altare nel giorno più importante. Caratteristico per le nostre donne è completare il costume di gioielli, come vuole la tradizione soprattutto con i coralli alle orecchie, anelli filigranati e ampie catene d’oro.

GLI ORNAMENTI
Gli ornamenti sardi, presi così a se, possono forse sembrare troppo rozzi e pesanti, ma messi accanto al costume, appaiono intonati e gli danno maggior risalto: sono bottoni d’oro e d’argento (buttonis), anelli, braccialetti, orecchini (arreccadas), collane (cannacas), catene (cadenazzos), ciondoli, amuleti e orologi, che si fissano alla sommità del petto.
Ma ormai anche questi oggetti diventano sempre più rari e gli orefici sardi, seguendo il gusto dei loro clienti che vogliono vestirsi ed adornarsi alla continentale, trascurano i bei lavori in filigrana che un tempo costituivano la loro occupazione preferita e trovano maggior interesse a smercenare i coliers, les broches, i pendantifs, ecc. ecc, che importano dalla penisola o dall’estero. Tuttavia non manca del tutto chi cerca di conservare intatti gli usi paesani, senza per ciò rifiutarsi di accogliere dal continente tutto quello che può interessare il progresso e il benessere della Sardegna; c’è da augurarsi che tutti si mettano su questa strada, seguendo da un lato gl’impulsi nuovi e fecondi che vengon dalla madre patria e tenendo fede dall’altro alle pure tradizioni e costumanze dell’isola, le quali non hanno impedito ai Sardi di essere buoni e valorosi italiani, legati intimamente ai fratelli d’oltremare


STORIA DELLE LAUNEDDAS

Le launeddas sono uno strumento musicale policalamo ad ancia battente, originario della Sardegna. È uno strumento di origini antichissime in grado di produrre polifonia, è suonato con la tecnica della respirazione circolare ed è costruito utilizzando diversi tipi di canne.
Lo strumento è formato da tre canne che possono avere diverse misure e spessore, e terminano con la cabitzina dove è ricavata l'ancia.
 -  Il basso (basciu o tumbu) è la canna più lunga e fornisce una sola nota: quella della tonica su cui è intonato l'intero strumento (nota di "pedale" o "bordone"), ed è privo di fori.
 -  La seconda canna (mancosa manna) ha la funzione di produrre le note dell'accompagnamento e viene legata con spago impeciato al basso (formando lacroba).
 -  La terza canna (mancosedda) è libera, ed ha la funzione di produrre le note della melodia.
Sulla mancosa e sulla mancosedda vengono intagliati a distanze prestabilite quattro fori rettangolari per laditeggiatura delle note musicali. Un quinto foro (arreffinu) è praticato nella parte terminale delle canne (opposta all'ancia).
Le ance, realizzate sempre in canna, sono semplici, battenti ed escisse in unico taglio sino al nodo.
L'accordatura viene effettuata appesantendo o alleggerendo le ance con l'ausilio di cera d'api.
Per la costruzione delle Launeddas non si usa la canna palustre phragmites australis, bensì la canna di fiume arundo donax, o canna comune, e la arundo pliniana turra, detta canna masca o cann'e Seddori, un tipo particolare di canna che cresce principalmente nel territorio compreso fra Samatzai, Sanluri eBarumini.
La canna comune viene utilizzata per la costruzione de su tumbu e delle ance, mentre sa cann'e Seddori viene utilizzata per la costruzione dellamancosa e della mancosedda.
Rispetto alla canna comune infatti presenta una distanza internodale molto maggiore, che può arrivare a diverse decine di centimetri, ed uno spessore notevole, che la rende più robusta e conferisce allo strumento un timbro particolare.
Il ballo sardo, che vanta una maggiore sopravvivenza e ricchezza di Nodas o Picchiadas (frasi musicali), pur rivelando una sua specificità, deve essere necessariamente ricondotto ai balli orgiastico-cultuali in cerchio attorno agli officianti o al fuoco dei riti primitivi e questo è dimostrato dal fatto che, in epoca storica, l'occasione di ballo era indissolubilmente legata al ciclo dell'annata agraria, svolta nei sagrati delle chiese o d'antichi siti sacri.
Sino agli inizi degli anni sessanta, il suonatore (o più di uno) si poneva al centro di un cerchio di ballerini (su Ballu Tundu), che tenendosi per mano ruotavano lentamente attorno allo stesso, andando avanti e indietro al ritmo della musica, secondo uno schema ossessivo ed ipnotico che prevedeva diversi tipi di passo e di movenze codificati, sincronizzati con i diversi momenti della sonata che normalmente durava 20-30 minuti, ma che poteva protrarsi anche per più di un'ora. Altri usi attestati dello strumento sono l'accompagnamento al canto (Muttettus, Goggius, Canzonis a curba…), l'accompagnamento de Is obreris, l'accompagnamento nei cortei delle sagre, dei matrimoni e di tutte quelle attività che prevedevano partecipazione popolare alla vita sociale.
La diffusione e la coincidenza della scala modale dello strumento con tutta la musica sarda suggerisce la sua diffusione, in passato, in tutta la Sardegna, In epoca storica lo strumento sopravvive a Cabras, ad Ovodda, nella Trexenta e soprattutto nel Sarrabus.
Scuola del Sarrabus (I MAESTRI - DECEDUTI)
  - Agostino Vacca, Villaputzu (CA) 1847 - 1896
  - Gioacchino Seu, Villaputzu (CA) 1873 - Cagliari 1957
  - Antonio Lara, Villaputzu (CA) 1886 - 1979
  - Emanuaele Lara, Villaputzu (CA) 1888 - 1941
  - Efisio Melis, Villaputzu (CA) 1890 - Cagliari 1970
  - Peppino Cabras, Villaputzu (CA) 1898 - Villasor (CA) 1965
  - Felicino Pili, Villaputzu (CA) 1910 - Oristano 1982
  - Aurelio Porcu, Villaputzu (CA) 1914 - 2007
  - Mario Cancedda, Villaputzu (CA)

Suonatori in attività
(in ordine alfabetico)
  - Andrea Pisu, Villaputzu (CA) (1984)
  - Gian Franco Mascia, Villaputzu (CA) (1967)
  - Giancarlo Seu, Villaputzu (CA)
  - Salvatore Trebini Villaputzu (Ca)

I primi studi risalgono al 1787 e furono fatti dal gesuita sardo Matteo Madao, che raccolse canti e danze e citò le luneddas. Negli anni sessanta del XX secolo fu la volta dell'etnomusicologodanese Andreas Fridolin Weis Bentzon che raccolse con registrazioni sul campo numerose suonate che poi catalogò e trascrisse su pentagramma.


STORIA DE SA FACCIOA’

Faccioà è una divinità ricorrente nella mitologia e nella cultura del Sardegna in particolare nel Sarrabus risalente al periodo XVIII, aveva un significato ben preciso e una connotazione e identificazione specifica.
Tutte maschere sarde tradizionali fanno riferimento a questa divinità della Natura. Spesso identificato in Baku il Dioniso dei Greco. Fù trasformato con l’avvento della Cristianità, in demone se non addirittura col Demonio stesso. Fino al secolo scorso, i contadini e i pastori sardi invocavano:
Sa Faccioà ( pelle di coniglio) Keret aba su laore (l’acqua per il cereale - campo seminato) o Keret aba su sikkau (chiede l’acqua il seccato – campo), ed aveva il significato di scacciare il malocchio e portare buona sorte al raccolto che nel periodo aspettava le piogge. Per le vie del paese giravano alcune decine di tali maschere, trascinando alcuni antichi attrezzi agricoli e seminando il panico scuotendo dei campanacci, a seconda dell’accoglienza dei vari quartieri dispensavano sorte positiva o negativa, gettandosi per terra come indemoniato.
Come maschera etnica Sa Faccioà è rappresentato da un uomo o una donna, ricoperto in viso con una pelle di coniglio, vestono con abbigliamento femminile, gonna nera, e su gipponi nero, un fazzoletto nero in testa.


 

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